Le chiavi di San Valentino

Nel periodo di San Valentino c’è sempre una certa indecisione nel fare il regalo giusto alla relativa dolce metà. Problema risolto a Udine, dove si può trovare una curiosa quanto romantica soluzione.

Ma prima di arrivarci vi sorbite una soporifera regressione storica;

La storia di San Valentino si incrocia con quella della città di Udine già nel 1355, quando la famiglia dei conti Valentinis, decise di erigere una chiesa a lui dedicata. E’ molto probabile che, vista la data a ridosso della grande pandemia di peste nera del 1348, fu scelto di metterlo a protezione della città, erigendo una chiesa presso la porta che conduceva a San Gottardo, perchè in quei tempi c’era un ricovero che fungeva anche da lazzaretto. Nel 1664 in seguito ad una donazione, all’interno della chiesetta venne anche esposta una reliquia del santo, dietro l’altare dove tuttora è visibile.

Il vecchio sacello venne successivamente dedicato ad un nuovo santo trendsetter dell’epoca: Sant’Antonio da Padova, che aveva anche predicato proprio in via Pracchiuso.

Ad inizio 800 l’oratorio venne soppresso al culto con le leggi napoleoniche e fu utilizzato per usi profani. Sconsacrata la chiesa, si era pensato di utilizzarla (ovviamente) per uso osteria (ah, la sete dei friulani..). Prima si chiamò “Alla Fenice” e inseguito “al Boia”, perché in quel periodo la chiesa confinava con il fossato dove avvenivano le impiccagioni, in prossimità della braida del boia appunto e dell’orto dell’orfanotrofio Tomadini.

Dopo la metà Ottocento, chiusa la fase alcolica della chiesetta, nel borgo si teneva ancora festa di San Valentino, seppur in maniera ridotta e nonostante la decisione del Senato Veneto di sopprimere la celebrazione già un secolo prima. La sagra di Borgo Pracchiuso si celebra quindi ogni anno fin dal 1689, in onore del Santo. Vi si celebra il sacramento dell’Eucaristia, si venerano le reliquie, si distribuiscono i famosi “Colaz” di S. Valentino, e appunto le chiavette.

Bando alle ciance, veniamo alle chiavi di San Valentino;

La tradizione delle chiavette, risale al potere taumaturgico del santo, invocato contro la peste e contro l’epilessia. Nei secoli passati si riteneva che per calmare le convulsioni, o per far rinvenire chi sveniva, giovasse, in assenza di altri rimedi, porre una chiave sul petto del malato.

Le chiavette benedette sono realizzate in stagno dipinto in oro e argento, i colori delle chiavi dello stemma Papale. Le fusioni sono fatte ancora oggi da un fabbro (fino poco tempo fa) che utilizza stampi molto antichi. Un tempo la chiave di San Valentino si appendeva al collo dei bambini per proteggerli o guarirli dall’epilessia, chiamata appunto mal di San Valantin o mal caduto o mal caduco. Nell’antichità questa forma di malattia era considerata un’infermità temutissima perché si credeva che gli epilettici fossero posseduti dai demoni. Ci sono due tipi di chiave una “maschio” con il cannello pieno e una “femmina” con il cannello vuoto.

Un’altra tradizione di questa festa è la Puglia, vino rosso robusto e alcolico che si trovava in tutti i bar della via in questo periodo. Un tempo gli udinesi compravano il vino in Puglia e lo utilizzavano per “tagliare” il vino autoctono, renderlo più alcolico e farlo durare di più.

Per quanto riguarda i “Colaz” invece, sono panetti a ricordo delle sacre Eulogie o pani benedetti che un tempo la confraternita di San Valentino distribuiva a forma di S e che oggi per ragioni di comodità mostra oggi la forma di un 8.

Questa distribuzione del pane deriva da una tradizione risalente alla chiesa dei primi secoli. Infatti, allora, era il popolo stesso che donava il pane ed il vino all’offertorio. Il sacerdote consacrava la quantità necessaria all’Eucaristia e ciò che avanzava veniva dato ai poveri.

E se siete arrivati fin qui, senza addormentarvi, vi chiederete il nesso tra il santo degli innamorati, con l’epilessia, la cecità e la peste?!!? Sembrerebbe che per traghettare le antiche usanze pagane, i Lupercalia, (i festeggiamenti che in epoca romana si svolgevano il 15 febbraio in onore di Luperco, protettore della fertilità) verso le nuove usanze vristiane, nel 496 Papa Gelasio I decise di porre il 14 febbraio come festa dell’amore e nel Medioevo il martire divenne patrono degli innamorati.

Interessati ad altri collegamenti friulano-valentini?;

“A San Valantin il vaciar distude il lumin”, per indicare che al mattino non serve la luce artificiale nella stalla. Altri proverbi, invece, nascono con l’intento di sottolineare che la natura si risveglia. A indicare questo particolare aspetto della festività troviamo i detti “A san Valantin al nàs il jeurin” e “A San Valantin al cjante l’odulin”, l’allodola, messaggera di luce che i Celti consideravano un uccello sacro. Un tempo, nella nostra regione, durante il mese di febbraio faceva ancora molto freddo e, a tal proposito, si diceva “Fevrarut pies di dut” o “A san Valantin s’inglace la roe cun dut il mulin”.


Per approfondire;

https://www.ilfriuli.it/articolo/archivio/san-valentino-e-la-chiave/29/79444

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